Matt Black Geography of Poverty, rubrica grandi fotografi a cura di Francesco Tadini. L’odore acre del sudore, la pelle indurita dal sole, l’aria pregna di sabbia del deserto e lacrime, tante. Se le fotografie di Matt Black fossero una sensazione, sarebbe quella di impotenza e disagio perché tutte le persone ritratte sono povere, tremendamente povere. Gli scatti di questo fotografo si pongono un obiettivo molto più ampio: quello di rappresentare una società sconcertante e una realtà spaccata tra i paesaggi dorati della California. Matt Black ha il merito di avere realizzato una vera e propria analisi sociale, denunciando a tutti gli effetti il crimine compiuto dallo Stato ai danni di persone, agricoltura e, paradossalmente, alla propria stessa terra.
Chi è Matt Black
Matt Black – I grandi fotografi – a cura di Francesco Tadini
Matt Black è un fotografo della California, precisamente della Central Valley, un’area molto povera che si trova non troppo distante dalla fulgida Hollywood. Sembra incredibile che un luogo così vicino a lustrini e paillettes vi contrasti a tal punto per povertà….
Il fotografo è nato nel 1970 a Santa Maria ed è stato da sempre interessato ai temi dell’agricoltura in quanto cresciuto a Visalia, una città agricola appunto. Durante la scuola superiore, Matt Black si avvicinò alla fotografia lavorando in alcuni giornali scolastici e universitari. Proprio al Visalia Times ebbe il suo primo approccio con il foto-giornalismo in bianco e nero, il suo primo amore. Le fotografie di Matt Black sono tutte contraddistinte da grandi contrasti e dosaggio sapiente di ombre e luci. Dopo la sua laurea alla San Francisco State University in Storia dell’America Latina, Black compì un lungo tour in quest’area, scattando fotografie nelle aree rurali. Il progetto gli è valso un World Press Photo Award del 1993 e ha in sé tutte le basi della sua impronta: fotografie vere, vissute, intense e con lo specifico scopo sociale di svelare le vite ai limiti della sopravvivenza .
Tra le foto premiate vediamo diversi scorci dell’America Latina. Una delle più rappresentative è sicuramente il paesaggio di case su rocce.
La particolarità è che le case siano costruite in maniera totalmente abusiva e senza tenere conto di quello che è l’assetto ambientale. Gli edifici si adagiano su tratti scoscesi in maniera disordinata come se un bambino li avesse appoggiati durante una pausa dai suoi giochi. Questa mancanza di controllo delle autorità competenti e la totale disarmonia della vita di queste persone è un chiaro segnale di abbandono e indifferenza. Tutte le foto della serie sono in bianco e nero, con una illuminazione quasi abbacinante – con un contrasto che accentua le ombre – rendendo la foto molto intensa. Le composizioni di Matt Black sono tutte studiate per focalizzare l’attenzione dello spettatore su una totalità di oggetti piuttosto che su un elemento in particolare.
Potete studiare le sue foto (che non pubblico a illustrare direttamente l’articolo) sul suo sito: http://www.mattblack.com/ e sulla pagina dedicata al grande fotografo dall’agenzia Magnum Photos: https://www.magnumphotos.com/photographer/matt-black/
Matt Black e il fotogiornalismo
La vera e propria consacrazione al fotogiornalismo di Matt Black si ebbe nel 1996, grazie al suo articolo Omaggio a un fuorilegge in cui scrisse della condizione disumana dei contadini della Central Valley, una zona praticamente dimenticata dallo Stato e lasciata a sé. Nell’articolo leggiamo dell’obiettivo di Matt ovvero “quello di lasciare la Central Valley in passato ma che è l’unico posto di cui può raccontare essendo la sua area di provenienza. In questa zona al centro di una regione ricchissima, tra le più ricche al mondo, tra Hollywood e Silicon Valley, in questo posto ci sono condizioni di vita molto difficili in cui le comunità vivono in condizioni di estrema povertà con acqua sporca e aria inquinata.”
Nel 1999 Matt Black si occupava di una storia di disoccupazione nella Central Valley quando venne in contatto con una famiglia di Oaxaca (Messico) che gli raccontò della storia dei migranti di Mixtec. Si appassionò talmente tanto alla storia da recarsi nella regione di Mixteca, in Messico, l’anno seguente e ne rimase talmente turbato da iniziare il progetto The People Of Clouds, un enorme saggio fotografico formato da diversi progetti come The Face Of The Mountain, After The Fall, and The Monster In The Mountains.
The People Of Clouds ha un titolo così evocativo – Gente di Nuvole – che stride terribilmente con il significato intrinseco. La storia infatti è molto forte: lavoratori immigrati costretti a lavorare per un salario basso, con case dagli affitti alti e costantemente minacciati di una deportazione qualora si ribellassero ai voleri dei loro aguzzini.
Matt Black vide minori sfruttati, proprietari terrieri che abusavano del loro potere, intere famiglie costretti a vivere in luoghi che assomigliavano più a pollai che a case. L’interrogativo di Matt Black era lecito: perché queste famiglie hanno fatto migliaia di chilometri, allontanandosi dalla loro casa per condurre una vita come schiavi? Per trovare una risposta doveva andare a fondo nella questione, quindi visitò tutti questi villaggi fotografandone le condizioni. A un certo punto, Matt Black si ritrovò a San Miguel Cueva, un villaggio molto piccolo e vuoto che aveva perso circa l’80% della sua popolazione. In questa città fantasma, il fotografo incontrò un uomo anziano che aspettava solamente la sua morte. Nel progetto di Black c’è la volontà di illustrare una comunità silenziosa e che non ha alcuna voce in capitolo, persone la cui patria è in fase di spopolamento, la cui cultura e lingua (tra le più antiche fra quelle americane) scomparirà nel giro di una generazione. È una morte lenta quella degli immigrati mixtechi e senza alcuna dignità.
I progetti sono concatenati l’uno con l’altro ed è impossibile osservarne uno e non sentire una certa continuità. In ognuno di essi c’è un pezzo d’anima di Mixtec. Una delle foto più intense e tremende del saggio fotografico é sicuramente quella di Monster In The Mountains in cui un corpo pende da un albero. Con una semplicità sconcertante, Matt Black ritrae la morte e la vita. Il corpo esanime è all’estrema sinistra della composizione mentre alla sua destra, come a bilanciare questo spettacolo tetro e destabilizzante, un bambino guarda verso l’orizzonte cercando qualcuno o qualcosa. Lo scatto ci fa comprendere le reali condizioni di vita di queste persone in cui la morte è solamente un sollievo e non qualcosa da temere.
Il progetto fotografico e giornalistico racconta della scomparsa di 43 giovani ragazzi, tutti studenti in Messico. Da esso verrà girato un cortometraggio pubblicato dal New Yorker.
Matt Black Geography Of Poverty
Nel 2014, compiendo circa 88000 miglia in 46 stati degli Stati Uniti, Matt Black volle fotografare le condizioni degli immigrati e dei poveri di questi Stati. Il progetto si chiama Geography Of Poverty ed è uno dei più conosciuti del fotografo.
Tra i suoi lavori più recenti, è sicuramente uno dei più impeccabili. Gli scatti sono accomunati da questo continuo confronto con i reietti della società e città completamente dimenticate come Arecibo in Portorico. Questa città venne colpita dall’uragano Maria e, dopo tre mesi, non aveva ancora elettricità. Le persone erano costrette a vivere in condizioni disumane e incivili. Gli organi competenti, addirittura, dichiararono che la situazione sarebbe stata risolta definitivamente nel maggio 2018 ma in alcune zone ci sono tuttora dei problemi.
Black utilizza fotografie geografiche con dati sul censimento, con lo scopo di creare una vera e propria mappa digitale. Il risultato è un itinerario della povertà che si può raggiungere coast to coast, un tour di cui nessuno conosce e nessuno parla. Tutte le foto vennero pubblicate su Instagram, ricevendo da subito un’attenzione particolare se consideriamo che il fotografo ha più 200mila follower e ha ricevuto il premio del 2014 “Instagram Photographer of the Year” dal Time. Geography of Poverty è durato un intero anno ed è stato terminato nell’estate del 2015. In questo stesso anno Matt Black è diventato membro della famosissima agenzia fotografica Magnum Photos, ricevendo anche il premio W. Eugene Smith Memorial Fund.
Matt Black ha realizzato anche diversi documentari come After The Fall, California: Paradise Burning, Harvest of Shadows e il già citato The Monster In The Mountains.
Il fotografo ha ricevuto anche una nomination al premio Pulitzer del 2003 grazie al progetto fotografico The Black Keys mentre con From Dust To Dust ha vinto il Robert Kennedy Awards come Fotografia Nazionale 2007. Diverse riviste come il The New Yorker e il National Geographic hanno pubblicato le sue fotografie per mostrare l’altro volto della California. Nonostante la sua giovane età Matt Black vuole raccontare il decadentismo dell’immigrazione ponendo l’accento sulle condizioni di vita a cui sono costretti i poveri migranti. Un vero e proprio schiavismo, intriso di ingiustizia e violenza, che riporta luce sull’ombroso passato (ma non troppo) americano.
Francesco Tadini – fondatore di PhotoMilano club fotografico milanese
Leggi anche l’articolo Ara Güler, Occhio di Istanbul, per “I grandi fotografi raccontati da PhotoMilano”
Francesco Tadini ha creato – consulta la sua pagina su questo sito all’indirizzo https://photomilano.org/francesco-tadini/ – all’inizio del mese di giugno 2017 il gruppo Facebook Photo Milano, passione (e non solo) per la fotografia che raggiunge e unisce, attualmente, più di 2600 iscritti. Il club fotografico ha sede presso un’altra creatura di Francesco Tadini: la Casa Museo Spazio Tadini in via Niccolò Jommelli 24 a Milano che – insieme all’altra fondatrice della casa museo, Melina Scalise e alla curatrice e agente fotografica (oltre che coreografa di fama) Federicapaola Capecchi – supporta l’attività del club con l’organizzazione di mostre fotografiche, workshop e serate conviviali. Alle esposizioni collettive e personali – da giugno 2017 a oggi – hanno partecipato centinaia di fotografi milanesi e non. Il progetto di PhotoMilano è nato con l’intento di unire e rafforzare le relazioni tra fotografi professionisti – di vari settori – e le migliaia di appassionati che nella fotografia vedono non solamente uno svago, ma un’occasione vitale di crescita progettuale ed espressiva.
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