Antoine d’Agata, di Francesco Tadini – grandi fotografi raccontati per PhotoMilano. Cosa si vuole intendere per limite? Forse il confine fra buon gusto e oltraggioso, fra angelico e licenzioso, bello e brutto? Stereotipi inculcati che insinuano le loro spire anacronistiche e ipocrite in ogni dove, soffocando lo spirito dell’uomo teso a esplorare oltre ogni riconosciuta “decenza”.
Togliersi qualcosa di dosso per capire la fotografia di Antoine d’Agata
Antoine d’Agata – testo di Francesco Tadini per PhotoMilano club fotografico milanese
Anche la fotografia – di per sé anarchica – sembra autolimitarsi in tal senso, offrendo quello che in realtà si vuole vedere perché culturalmente accettato, socialmente utile e futilmente necessario.
Ecco che la fotografia diviene la rappresentazione patinata di un soggettivismo comunitario – un anticonformismo conformista mutualmente diffuso – con visioni di edonistiche figure eteree (dalla fisicità spesso improbabile) collocate in immaginifiche scenografie pubblicitarie, le cui elaborazioni grafiche ( a volte al limite, qui si, della decenza) fanno apparire tutto volgarmente stupendo… anche la confezione di un farmaco generico.
Si rischia di diventare spettatori passivi di quello che si vuole e deve essere profuso: inermi testimoni di vite altrui, voyeur indottrinati dal sistema del giusto e sbagliato.
Come si può, dunque, apprezzare l’opera di chi – come Antoine d’Agata – questo contrasto interiore l’ha patito – digerito! – plasmando vere e proprie opere d’arte, capace di risvegliare nell’osservatore una coscienza che pare sopita? Come si può intuire il suo messaggio, comprendere che nell’attimo stesso dello scatto ha regalato al mondo un pezzo di vita vissuta, un brandello di una sensibilità troppo furtivamente etichettata come visionaria?
Il genio estremo di D’Agata
Antonie D’Agata è tutto questo e forse anche di più, un artista essenziale ed estremo, che nella fotografia ha trovato la sua forma di espressività più immediata. Un enigmatico libro aperto, di quelli che bisogna rileggere più volte per comprendere come mai debba finire in quel modo, un personaggio a tratti scomodo, come ce ne sono tanti, basti pensare a Ritts, Mapplethorpe, Witkin, ecc. Istrioni che nell’accademico mondo dell’arte fotografica han saputo dire la loro, fra glamour e nudeart … che fanno il verso a ritrattisti e reporter: sfaccettature, in dosi variabili, presenti nelle foto di Antoine d’Agata.
Egli conduce una vita al limite, volutamente imbrigliato nel sottobosco dell’indecenza, genio che sa che se non ci si mette un piede non si potrà mai sapere quanto è fredda l’acqua. Infatti lui i piedi ce li mette tutti e due sin da giovane, da quando l’amata terra natale di Marsiglia, lo vede frequentatore di bordelli e spacciatori di eroina, in una finta, quanto improbabile, rivoluzione politica e culturale, divenuta provinciale e troppo stretta per i suoi gusti.
D’Agata proietta il suo interesse nello studio della fotografia oltreoceano, non prima di aver fatto ammenda del suo focoso spirito liberale che lo vede vittima di una cecità parziale durante alcuni scontri fra fazioni di pensiero politico differente, il che forse costituirà una caratteristica della sua folle visione esistenziale e fotografica.
La fotografia non è solo profondità di campo o regolazione di diaframma e questo Antonie D’Agata lo sa, poiché il suo particolare visus gli permette di elaborare nella sua mente immagini a tratti distorte e volutamente sfocate che emergono dal suo portfolio. E non è neanche reflex di ultima generazione, full frame e autofocus, zoom e stabilizzatori d’immagine, in cui il minimo flare è deplorato quasi fosse una bestemmia!
Seguendo un po’ le orme dei grandi Henri Cartier-Bresson e David Seymour , non a caso fondatori di quella Magnum Photos per cui egli comincerà a lavorare, vive con la fotocamera ogni istante della giornata, perché un attimo non colto è l’impossibilità a ricostruire un’atmosfera trasmettendone l’esatta sensazione percettiva.
Antoine d’Agata coglie quest’essenza poiché come egli stesso ammette, in diverse interviste rilasciate in un inglese dall’accento fortemente francofono, il consueto, il preparato e il troppo elaborato nella vera fotografia non possono mai coesistere.
D’Agata esaspera chiaramente il concetto, è intimamente coinvolto nei suoi scatti con cui – a prescinder dal momento tanto nello squallore di un bordello orientale quanto fra le scale di un vicolo – sa cogliere e imprigionare il protagonista.
Essere Antonie D’Agata – e Magnum Photos
Spesso è lui il soggetto principale delle suoi scatti come autoritratti o frenetiche quanto circensi attività di coppia, il dettaglio di un fabbricato, il dinamismo di una sequenza di immagini che sottolinea l’inquadratura di una parte anatomica in diverse angolazioni, alcune visibili sul suo profilo sul sito web dell’agenzia Magnum Photos: http://pro.magnumphotos.com/C.aspx?VP3=CMS3&VF=MAGO31_10_VForm&ERID=24KL53T_6
Spaccati di un quotidiano vissuto in modo estremo fin nelle sue più intime viscere, in maniera disperatamente accorata e in una soffusa mancanza di lucidità, frutto, almeno in parte, dell’abuso di alcool o droghe che egli stesso ammette con candida onestà, perché solo facendo il biglietto per l’inferno si avrà una probabilità di conoscerne il proprietario di casa.
D’Agata sostiene che raggiungere un limite non è mai abbastanza e, per quanto pericoloso, è l’animo da esploratore che in maniera primordiale alberga un po’ in tutti gli uomini, ammansito dalle regole che sin dalla nascita l’opulente stile di vita altrui pone ad esempio evolutivo e progressivo, alimentato dalle ambizioni più sfrenate. D’Agata questo lo comprende già in tenera età, pur non provenendo da una situazione familiare scomposta e pregiudicante per una sua sana formazione, frequentando da subito la strada, inebriandosi dell’odore della notte, del proibito.
Egli ha un grande merito, quello di essere stato fra i fautori del concetto noir nella fotografia, intesa come immagine speculare dello spaccato dell’esistenza, senza alcun freno inibitorio, senza scrupoli, con la cruda sfacciataggine di chi ha il coraggio di mettersi in gioco in prima persona, senza temere critiche o pregiudizi, scandali e bigottismi di alcuna provenienza.
Acclamato dalla critica erudita che non pone paletti nel sospetto di un minimalismo (che poi tale non è), Antoine d’Agata sorprende tutti fermando per oltre tre anni la sua attività, forse per tracciare una linea fra quel che è stato e quel che sarà, come fanno tanti artisti, o semplicemente per reindirizzare il suo punto di vista nell’elaborazione mentale e visiva di quello che ancora potrà dare. Dopo questo periodo di silente osservazione, sorprende quanti speravano in un suo ritiro o quanti, al contrario, vacillavano circa le probabilità di un cambiamento di direzione – pensando a una nemesi spirituale – concependo i capolavori del suo tratto distintivo.
Spezzoni di esistenza che intrecciano una maturità artistica capace di affermare la propria volontà come fine ultimo di ogni suo scatto, egli riprende il lavoro con Magnum Photos, incuriosendo la critica internazionale che comincia a recensire i suoi scatti, dando spessore alla sua figura di artista fuori dalle righe.
La carriera spicca il volo e D’Agata comincia ad essere sempre più richiesto e a intervenire in seminari e masterclass in giro per il mondo, affiancando una nutrita produzione di libri da Mala noche (pubblicato nel 1998 e contenente repertori dal Messico, New York, Haiti, Marsiglia, Guatemala e El Salvador)- vedi LINK al sito di Magnum Photos – a Psychogéographie, all’acclamatissimo Anticorps (500 pagine e 2400 immagini che riassumono la carriera dell’autore cominciata alla fine degli anni ’90), sottolineando il dark side che Magnum Photos gli ha attribuito e registrando crescenti numeri di visite presso le gallerie a lui dedicate.
I film documentario The Cambodian Room: Situations with Antoine D’Agata e il recente Atlas, sono l’ulteriore testimonianza ai posteri del concetto visionario, violento a tratti e per altri quasi sospeso in un’ovattata dimensione, in cui la disciplina fotografica è messa a tacere dall’impatto sordido ma veritiero della realtà, che D’Agata non cerca di imprimere ma semplicemente sa di poter dare.
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La capacità di vedere in senso fotografico è la dote di chi, progressivamente, si discosta da una riproduzione oggettiva orientandosi verso interpretazioni soggettive, racchiudendo e condensando nell’attimo della ripresa non quello che l’occhio vede ma ciò che la fotocamera dovrà catturare e raccontare. Un soggetto fotogenico in senso stretto, potrebbe non rappresentare intensità e realtà come quelle che D’Agata fissa nelle sue immagini… ecco perché la sua opera, così vivida e tangibile, ha spesso lui stesso come soggetto preferenziale… ed ecco perché Antoine d’Agata è lontano da un’illuminazione chiara e uniforme, magari accompagnata da una cura totale nella messa a fuoco – poiché, in un certo senso, limitano la libertà e la fantasia – lasciando appunto libero l’osservatore di completare quanto il fotografo ha voluto simboleggiare.
Una fotografia può essere tecnicamente realizzata con un infinità di mezzi e strumenti tecnici e molti fotografi, anche importanti, si cimentano nello scatto con tale prerogativa, senza riflettere che ogni tema ha esigenze intime e tecniche conseguenti.
L’opera di D’Agata potrebbe definirsi grottesca, sfociante in un torbido senso di smarrimento, anche se questo iniziale e riduttivo giudizio non può semplificare la tecnica fotografica che ne traspare, frutto di un assorbimento completo di tutte le norme tecniche possibili, digerita e assimilata al punto di venire rielaborata al solo servizio delle cruda realtà. Le droghe, la dissolutezza, aver saggiato la vita border line, traspaiono dalle sue fotografie, dove il nudo artistico si contrappone a corpi madidi di sudore incomprensibilmente aggrovigliati, lontani dal concetto standard di bellezza.
Il click per ogni fotografo è un momento magico, il frutto del suo sapere, ma per D’Agata è liberazione della sua inquietudine, del suo malessere, del sentirtisi diverso in una comunità dove per piacere al prossimo ci si deve allineare.
E’ indispensabile che la fotografia attiri l’attenzione ma, al tempo stesso, è impresa fondamentale tenerla viva perché abbia un vero significato – sia per insegnare, formare o divertire – e possa stimolare una percezione soggettiva – ai limiti dell’esclusione da ogni “socialità” – del mondo.
Poiché non vi sono limiti alla diversità di significato, respingere un’immagine solo perché la sua carica emotiva è eccessiva, significa rifiutare la realtà.
“A photograph is nothing but a lie. The space is cut off, the time, manipulated. They are two uncontrollably false appearances of an image condemned to choose between hypocrisy and good conscience and being fake.” – Antoine d’Agata (> vedi LINK)
Il fotografo Antonie D’Agata potrà piacere follemente o meno… ma l’artista va capito e accettato, e maledettamente collocato in quell’olimpo di fotografi eletti e visionari: ultimi pionieri delle debolezze umane.
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Francesco Tadini – fondatore di PhotoMilano club fotografico milanese
Francesco Tadini ha creato – consulta la sua pagina su questo sito all’indirizzo https://photomilano.org/francesco-tadini/ – nel giugno 2017 il gruppo Facebook “Photo Milano, passione (e non solo) per la fotografia” che comprende, attualmente, più di 2600 iscritti. Il club fotografico ha sede presso un’altra creatura di Francesco Tadini: la Casa Museo Spazio Tadini in via Niccolò Jommelli 24 a Milano che – insieme all’altra fondatrice della casa museo, Melina Scalise e alla curatrice e agente fotografica (oltre che coreografa di fama) Federicapaola Capecchi – supporta l’attività del club con l’organizzazione di mostre fotografiche, workshop e serate conviviali. Alle esposizioni collettive e personali – da giugno 2017 a oggi – hanno partecipato centinaia di fotografi milanesi e non. Il progetto di PhotoMilano è nato con l’intento di unire e rafforzare le relazioni tra fotografi professionisti – di vari settori – e le migliaia di appassionati che nella fotografia vedono non solamente uno svago, ma un’occasione vitale di crescita progettuale ed espressiva.
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